INVISIBILE NEVE

Ronzani Editore - aprile 2022

INVISIBILE NEVE è dedicato alla continua rinascita, al venire alla luce e al buio che la precede; è l'esperienza di una luce che sempre si rinnova, che mai si spegne. È l’incontro dell’individuo frammentato con l'unità, pur nella tensione delle differenze.

E' un invito a uscire dai viali battuti, dal circuito di ogni giorno e superare una soglia, abbassando le luci abbaglianti  - se abbassi la luce fai più luce - per cogliere qualcosa di semplice e prezioso, che non vediamo anche se è sempre sotto i nostri occhi.

E' un cammino necessario tra terra e cielo, un ponte per ricomporre il corpo e l'anima guardando alla vita, non come vogliamo noi, ma come può chiedere una sorgente inesauribile di immane bellezza.


Nelle immagini. Sopra, "Persefone" - particolare, foto di Ruggero Lorenzi; sotto, a destra, particolare mausoleo Galla Placidia di Ravenna; a seguire, particolare da "Sette opere di Misericordia" di Caravaggio

Scende la neve, ogni cosa si raccoglie sotto il suo mantello, si annulla nel bianco totalizzante che nasconde il molteplice evocando una coincidentia oppositorum, l’incontro. Poi la neve scompare.

L’alba si fa dopo il misterioso viaggio nelle tenebre, da dove l’uomo si è affacciato una prima volta; il sole tornerà anche domani, giorno dopo giorno questa “eccedenza” invisibile diventa una direzione luminosa che ci guida silenziosamente: una scia dell’alba si conserva nel nostro sguardo, così, un po’ di sbieco, vediamo che la luce c’è sempre e prima dell’on-off dell’interruttore, rivelando una certezza ancestrale.

Le giornate vanno e vengono, ma a poco a poco si traccia una linea indefinita della quale diventiamo parte, e su questa strada ci incamminiamo.Ognuno si trova con i piedi sull’abisso e nella possibilità di accogliere la bellezza e superare sé stesso, pur rimanendo sé stesso. E la felicità non è mai definitiva; e la luce che ne deriva non è accecante e superba ma è la luce tenue di una consapevolezza che è fatta di giorno e di notte assieme.

Questa luce però è più forte, ci orienta e ci trascende allo stesso tempo, nell’immensità della vita. Così un semplice fiore sulla strada ci chiama alla sua fragile esistenza e possiamo riconoscere in lui il nostro volto di creature effimere, ma che possono guardare oltre l’inevitabile sfioritura. Il fiore cresce dentro, il sole sopravvive alle mie giornate e si rinnova in un sì che va oltre, perché il bene che facciamo non si consuma: c’è qualcosa in me, più importante di me, che resiste.

C’è una verità sempre oltre la mia capacità di comprendere; c’è un disegno più grande delle mie ragioni, una proiezione più in là dello sguardo richiuso nel mio mondo. Così possiamo guardare attraverso i muri, superare i confini che ci dividono, più leggeri oltre i fremiti del mondo, senza interrogativi né parole, come gli innamorati (i saggi e talvolta gli idioti). Sulla strada c’è una neve che non scompare, che non è più visibile, ma rimane.

Questa è un’indagine su ciò che non si vede, ma per magia o improbabile coincidenza riunisce il più lontano e il più vicino, il mio inferno e il mio paradiso, in una sola indecifrabile armonia di fondo (il logos eracliteo); poi c’è l’estrema solitudine dell’uomo che strilla forte la sua verità, ma più alza la voce più si trova solo, prigioniero di uno sguardo che riflette il suo sguardo, che riflette il suo sguardo… La ricerca che qui si svolge è per la parola esatta, necessaria, quella che richiede un’esistenza che si consuma e si rinnova; qui non servono parole esotiche, roboanti effetti speciali, ma è nei sentieri consumati di ogni giorno che occorre fermarsi e accogliere il lampo di eterni accordi.

Inspiegabilmente l’uomo è fatto di infinito, una sua parte imprescindibile è una sostanza invisibile, non decifrabile che sfugge al linguaggio ordinario e tecnico-scientifico, che ha a che fare da sempre con il mistero e il numinoso; è qui che la parola ha avuto origine, ed è qui che il poeta ritorna.

Questa opposizione si esprime chiaramente nei versi filosofici di questo libro e proprio in questi versi le due parti lontanissime si intrecciano, così la ricerca della via si “accorda al motore delle nuvole”, nella rivelazione poetica. Quest’angelo non vola più oltre il cielo ma sfiora le nostre mani e si sporca di polvere di vita; è tra noi, nel vissuto di ogni giorno, fatto di luce e ombra.

Il nostro cammino ci porta a contatto con le tenebre, dove anche l’ombra cerca l’incontro, perché siamo sempre laggiù, persi, disperati; e troviamo una guida, entriamo in contatto con noi stessi e con Dio. E’ un cammino dove dobbiamo rinunciare al senso che noi vogliamo imprimere all’esistenza, con tutta la gravità dell’Io, per accettare il non-senso della vita che è il senso autentico, il fuoco della vita che non si esaurisce in noi, che non si consuma, il fuoco della creazione perenne dove muovono i nostri passi.

Cosa cercano per i viali battuti 

le ronde? Le scritte incrociate 

dalle dita, consumate dai cingoli 

dicono: di là non si passa. 


Ma cosa fanno passeri merlini 

tra le spire di recinti invisibili? 

Sui colmi antichi vegliano 

civette vigili: di là chiamano 

acrobati solitari, sfavilla 

dai camini la mia cara rondine. 


E mentre passa dall’indefinibile 

azzurro alla finestra, sono io 

a beccare lei sulla cornice 

nel buio tra le parole



Le finestre sono spalancate, non si vedono 

le isole di plastica al largo delle spiagge, 

non si vedono i grossi cavi che alimentano 

il paretaio mondiale, ma le luci 

sono ciminiere che fumano giorno e notte, 


alla sera, uno scricchiolio 

nell’aria lieve di un finecorsa, 

sento vagare la mia tristezza 

e quell’odore di allevamenti in batteria 

e non basta chiudere la finestra. 


Per qualcuno, lo sguardo si ferma 

sotto i lampioni 

tra le strade governate da algoritmi, 

per qualcuno lo sguardo si alza 

per affrontare il vuoto 

sotto i piedi, la terra che manca… 


E tutti hanno un recinto 

ma c’è chi non sa della bestia 

o non vuole sapere se è fatto di latta 

o di ovatta di cielo, c’è chi va 

ogni giorno per la stessa strada 

chi non esce mai dalla sua scatoletta 

che chiamano vita



Vedi come si impastano

le nuvole immobili di pece 

e lo scorrere limpido di un ruscello. 

Se alcuni lumi appoggiano sulla linea 

incerta del tuo cammino, tu 

raccoglili, non per schiarire la notte, 

non per paura di perderti… 

se abbassi la luce fai più luce. 


Il cielo non diventa più giusto

e più puro per accogliere uno stormo 

di angeli… ma i colombi? I barboni 

a volo raso tra tetti e panchine sanno 

che il fiore spento è lo stesso che riluce, 

ma di portare verità, forse non sono degni? 


Mille anni, millimetri, ci uniscono 

nell’abito di amore e di sofferenza: 

l’abbraccio infinito di una madre. 

Il paradiso è qui, per noi e per loro



Ai piedi del fanum 

le parole si inabissano tra le radici, 

le campane suoneranno presto. 


Scende il sole nel chiostro selvaggio, 

ancora un poco, 

ancora un poco la mia ragione 

si accorda al motore delle nuvole. 


Piove l’incanto ai miei piedi 

i colombi si preparano al volo



In questo fiore ci riconosciamo 

in simultanea percezione, una sola, 

di fragilità e grazia intramontabile 

oltre le continue sfioriture. 


In questo fiore si ritrovano gli estremi 

e la contraddizione mi appare, ora 

meravigliosa coincidenza. 

Qui ci incontriamo. 


Siamo quel puntino impercettibile 

nel cielo spalancato 

dove l’altalena, prima di cadere 

si ferma 


per lasciarci accadere



*

Ora che l’orizzonte è più basso 

e all’empireo si unisce la gloria dei sensi, 

la grazia ci sorprende 

feriti, sulla strada, 

ora che sue le ali sono sporche 

come le mie mani, sporche 

dello stesso sangue, bianche 

della neve che scende 

per una notte e poi scompare, 

nell’aria solo un silenzio resiste 

allo schianto di ogni giorno, 

e una parte di quel candore 

ora non più visibile, 

di lei rimane