Le giornate vanno e vengono, ma a poco a poco si traccia una linea indefinita della quale diventiamo parte, e su questa strada ci incamminiamo.Ognuno si trova con i piedi sull’abisso e nella possibilità di accogliere la bellezza e superare sé stesso, pur rimanendo sé stesso. E la felicità non è mai definitiva; e la luce che ne deriva non è accecante e superba ma è la luce tenue di una consapevolezza che è fatta di giorno e di notte assieme.
Questa è un’indagine su ciò che non si vede, ma per magia o improbabile coincidenza riunisce il più lontano e il più vicino, il mio inferno e il mio paradiso, in una sola indecifrabile armonia di fondo (il logos eracliteo); poi c’è l’estrema solitudine dell’uomo che strilla forte la sua verità, ma più alza la voce più si trova solo, prigioniero di uno sguardo che riflette il suo sguardo, che riflette il suo sguardo… La ricerca che qui si svolge è per la parola esatta, necessaria, quella che richiede un’esistenza che si consuma e si rinnova; qui non servono parole esotiche, roboanti effetti speciali, ma è nei sentieri consumati di ogni giorno che occorre fermarsi e accogliere il lampo di eterni accordi.
Il nostro cammino ci porta a contatto con le tenebre, dove anche l’ombra cerca l’incontro, perché siamo sempre laggiù, persi, disperati; e troviamo una guida, entriamo in contatto con noi stessi e con Dio. E’ un cammino dove dobbiamo rinunciare al senso che noi vogliamo imprimere all’esistenza, con tutta la gravità dell’Io, per accettare il non-senso della vita che è il senso autentico, il fuoco della vita che non si esaurisce in noi, che non si consuma, il fuoco della creazione perenne dove muovono i nostri passi.